Navigando nelle infinite possibilità dell'essere

139. IL SENSO DEL REALE

Essere vegani non significa essere perfetti dal punto di vista salutistico. Vuol dire soltanto che non mangi carne, punto e basta.

Ma se poi, ad esempio, ti abbuffi di dolciumi, di integratori, di farmaci, di caffè, di cole, di fumo, di cibi e bevande spazzatura, non puoi pretendere di stare bene. Se inoltre non pratichi un coerente schema comportamentale includente movimento, esposizione solare, pensiero positivo, respirazione addominale, e i soliti ingredienti virtuosi del nostro pacchetto-salute, il benessere che stai cercando diventa un miraggio e una chimera.

Chi mi critica in modo indiretto e trasversale, ancorché bonario, accusandomi di non rappresentare in modo cristallino la purezza assoluta del veganesimo e del vegetarismo, per le mie aperture verso chi incespica e retrocede, per debolezza o per esplicita scelta, sulla scala della perfezione massima, finisce per fare il gioco degli incoerenti, di quelli che vanno in crisi e cambiano idea con troppa facilità.

Chi mi obietta che il rispetto verso gli animali va inteso a prescindere dalle loro dimensioni, per cui la vita della piccola alice o della sardina non sono meno importanti di quella della balena, va a cercare il pelo nell’uovo. Non ho mai teorizzato libertà indiscriminata di uccidere il pesce piccolo e di salvare le balene, i delfini e i tonni. La vita, presa una per una, è sempre degna e meritevole di rispetto. Convengo ovviamente su questo principio. Ma, a voler essere coerenti fino ai punti estremi, la zanzara e la mosca dovrebbero valere quanto la giraffa e l’elefante, e la cosa non mi sta affatto bene. I conti semplicemente non tornano. Chi fa questi ragionamenti poi, si ritrova a guidare l’auto e a fare una strage orribile di moscerini.

Occorre dunque mettere in campo non solo i buoni principi, ma anche il senso delle proporzioni, e soprattutto il senso del reale.

Sardine e alici non sono carne da macello e vanno protette? Assolutamente sì. Vivendo esse però in grosse congregazioni chiamate branchi, sono soggette a continui attacchi da pesci maggiori, da foche, trichechi ed uccelli. Questo le rende non solo vulnerabili, ma abbassa notevolmente il loro quoziente di vita media, per cui il loro sacrificio non può in alcun modo raffrontarsi con quello di una balena che potrebbe vivere anche 200 anni.

Direi che anche il radicchio, le ortiche, i cavoli e gli spinaci sono creature viventi meritevoli di rispetto, creature che sentono, soffrono e reagiscono, e che si esprimono con una loro lingua che noi ancora non sappiamo decifrare. La realtà è che qualche sacrificio dobbiamo pur commetterlo se puntiamo alla nostra sopravvivenza.

È giusto che l’uomo persegua liberamente sia le sue ambizioni di salute sia quelle dell’etica e della coerenza, trovando la famosa quadratura del cerchio. Fortunato e beato chi riesce a stare bene provocando danni zero a vegetali e animali grandi e piccoli. Un maestro come il Dalai Lama, baciato da saggezza, da santità e da purezza vegetariana, non ha esitato a mangiarsi pasta al ragù di carne e diverse bistecche, quando stava male.

Nel mio piccolo, non mi sogno affatto di appartenere alla categoria dei maestri e degli esempi umani da imitare. Nel mio piccolo dicevo, mi accontento di essere in pace con me stesso e la mia coscienza. Questa condizione mi premia e mi convince ogni qualvolta riesco a vivere e sopravvivere facendo del mio meglio e causando il minimo danno possibile.

Se uno ha la ferma determinazione di non mangiare il prossimo, non si farà convincere dal primo che arriva, o dal medico inquadrato, o dal pentito di turno, a mollare l’aromatico ed allegro negozio ortofrutta per riavvicinarsi alle esalazioni fetide e miasmatiche della macelleria.

Valdo Vaccaro

Estratto dalla tesina “Pseudo veganesimo dogmatico ed estremismo animale”

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